Blog di commenti, riflessioni e ricordi. Uno dei miei maestri mi disse: "Le parole le puoi scialare o spendere, ma non devi mai buttarle".
sabato 12 dicembre 2020
PAOLO ROSSI, GLI ANNI OTTANTA, LA SOLITUDINE E LA FELICITA'
lunedì 31 agosto 2020
IL MOSTRO NON SE NE VA
Parlo del Mostro di Firenze. Sono stata da sempre appassionata alla storia contemporanea italiana. Mi appassionano le storie che in qualche modo ho “vissuto”, quelle in cui storia personale e storia collettiva si uniscono e si confondono. Innanzitutto ho scoperto che la storia del mostro di Firenze è vivissima e presente nella coscienza di internauti, blogger, persone di diverse generazioni che sono state, a qualche titolo, toccate da quella che è un’enorme straziante tragedia.
che ripercorre il caso con un’idea determinata ma anche con volontà di offrire più informazioni e nozioni possibili della vicenda.
Credo che i fatti siano piuttosto noti, inutile ripercorrerli, vorrei solo aggiungere alcuni elementi che trovo, talvolta, accennati, ma mai troppo approfonditi, sul caso del mostro di Firenze. Vorrei anche dire che in questo caso le verità giudiziarie sono, per me, come per altri più competenti, errate, non credo, quindi, nel Pacciani mostro, nei "compagni di merende" e tanto meno nei mandanti/esecutori o in piste sataniche e esoteriche. Cosa si potrebbe, allora, aggiungere a quanto già detto e scritto?
1. I delitti del Mostro si collocano in un periodo storico particolare: 1968-1985. È strano che non si sia mai pensato al fatto che, pur essendo un killer di questo tipo un personaggio solitario ed estemporaneo, i suoi delitti si collocano pur sempre in un’epoca e un contesto storico. Nel lasso di tempo in cui ha agito, l'Italia ha attraversato eventi di enorme importanza: i movimenti studenteschi e operai, il dilagare del femminismo da una parte, la strategia della tensione dall’altra, gli anni di piombo, l’assassinio di Moro, la morte di Berlinguer. Cosa ha a che farà tutto ciò con i delitti del mostro? Forse niente, ma forse qualcosa sì. L’epoca storica è stata contrassegnata da una transizione, che ha portato le nuove generazioni a concepire una libertà sessuale sconosciuta a quelle del passato (parliamo di generazione in senso impreciso, perché le prime vittime del mostro erano degli anni ‘30/‘40 e le ultime degli anni ‘60). La criminologa Roberta Bruzzone in un’intervista ha spiegato che gli omicidi come il mostro di Firenze non scelgono esattamente le vittime ma i luoghi e le circostanze. Ciò non toglie che egli abbia seguito alcune delle vittime femminili, prima del delitto. Tuttavia, i suoi delitti avevano un qualche intento punitivo: colpiva i giovani intenti ad amoreggiare in macchina, persone che quindi avevano rapporti extra-coniugali o piuttosto pre-coniugali, che erano amanti clandestini, in un caso, forse una coppia gay, in un altro caso. Doveva essere una persona che provava una profonda rabbia per la libertà sessuale giovanile, ma non solo, per il fatto che questa libertà se la prendessero non ragazzi e ragazze ricchi e ricche, ma giovani lavoratori, che infatti non è che avessero seconde e terze case da utilizzare allo scopo indicato. Le vittime del mostro sono state soprattutto vittime di una libertà sessuale che avevano conquistato ma di cui non potevano usufruire a pieno, perché c'erano altri che se ne potevano prendere di più e meglio. Secondo me c'era anche un po' di odio di classe da parte del mostro, per questi giovani, che erano così "poveri ma belli" e innamorati. Anzi, quello che mi colpisce di più, quando guardo le immagini delle vittime del mostro, è la loro bellezza e pulizia.
2. La pista sarda: come forse è noto, il primo delitto del mostro di Firenze, del 1968, riguardò una coppia di amanti di cui la donna era sarda. Si trattava di un'emigrata in Toscana di modeste origini, che aveva sposato un uomo, suo corregionale, di quasi vent'anni più anziano e che era famosa nel comune per il numero di amanti e per la celerità con la quale li cambiava (non è escluso che, semplicemente, si prostituisse). Nelle ricostruzioni delle indagini dell'epoca, mi sembra che emerga il fatto che gli inquirenti avessero avuto uno sguardo pregiudiziale verso il microcosmo degli emigrati sardi. Si parla di "clan": di un gruppo di persone che avrebbero avuto l'intenzione di eliminare una donna del loro gruppo perché aveva iniziato ad avere rapporti sessuali con gente "altra". Affiorano idee il cui sfondo sottinteso è: sardo uguale criminale. Si parla di delitto d'onore, di delitto passionale. Un po' estraneo alla "cultura" criminale sarda, spietata ed efferata senza dubbio ma molto sbilanciata su un unico grande movente: il denaro. Il marito della vittima era succube della situazione, definito "oligofrenico": non può essere, invece, che fosse semplicemente un "nonviolento" ante litteram, che non era geloso della moglie? Un sardo così? Agli inquirenti non sembrò plausibile. Quando, appena nel 1982, anche il delitto del 1968 fu collegato a quelli successivi, nacque un filone d'indagine che scoperchiò alcune torbide relazioni tra i componenti delle famiglie sarde coinvolte, anche con tanti interessanti spunti, ma mantenendo una prospettiva inattuale del mondo osservato, al quale veniva attribuita una misoginia, una sessuofobia e una repressione che forse non erano maggiori che nel resto dell'universo umano dell'epoca.
Questo non significa, naturalmente, che il mostro non possa essere sardo o proveniente da questo giro (un candidato c'era, in quel contesto, e anche notevolmente attinente). Ma se lo è - questa la mia opinione - i suoi atti si collocano in una dimensione del tutto individuale, completamente avulsa dall'ambiente di provenienza, che difficilmente può averne protetto le azioni.
C'è molto materiale, come dicevo, su questa vicenda, molto del quale raccolto negli anni da Paolo Cochi e da alcuni altri.
Segnalo la suggestiva tesi di Nino Filastò, per il quale non si spiega il fatto che il mostro abbia ucciso per 17 anni indisturbato, senza mai suscitare la benché minima reazione dei giovani, se non per il fatto di essere un poliziotto, uno dei Servizi Segreti o comunque delle istituzioni. Filastò, a conferma della sua tesi, cita il fatto che sulla scena del crimine si siano trovati, non riposti, libretti di circolazione, documenti d'identità, ecc., che evidentemente ai ragazzi era stato chiesto di esibire. Cita anche il fatto che i finestrini sono spesso infranti, nonostante i proiettili usati potessero forare i vetri senza spaccarli. Il mostro li avrebbe infranti per non far capire che erano stati abbassati dai giovani per rispondere alle domande di quello che credevano essere una persona della Pubblica Sicurezza.
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mercoledì 5 agosto 2020
LA NOTTE DELLA REPUBBLICA
sabato 11 luglio 2020
GLI SPROLOQUI DI SALVINI E L’EREDITÀ DI ENRICO BERLINGUER
Io credo, però, che l’immediata risonanza dei vaneggi di Salvini non sia dovuta solo alla bislaccheria del loro contenuto. Penso, invece, che l’eredità berlingueriana, che è tutt’uno con quella del comunismo italiano, sia un grande problema della sinistra odierna. Mentre, infatti, un uomo come Berlinguer non passa di moda, è passato di moda il berlinguerismo, anche per le ragioni prima dette. Sono fortemente osteggiati gli eredi "oggettivi" di Enrico Berlinguer, le persone che egli aveva vicine e che, più probabilmente, avrebbero cercato di proseguirne l'operato.
Persone della minoranza della sinistra (minoranza della quale orgogliosamente faccio parte, essendo rimasta - si parva licet - "fedele ai miei ideali di gioventù") che si trovano, a mio avviso, più fuori che dentro il PD. Berlinguer è, paradossalmente, "un’icona per molti che non lo hanno capito, non lo hanno conosciuto, non sapevano chi fosse" (Intervista su Nuova Atlantide), come Jovanotti, per sua stessa ammissione, che compare nelle testimonianze raccolte da Veltroni.
venerdì 10 aprile 2020
LA MEGLIO GIOVENTU' E L'"IMMAGINARIO COLLETTIVO"
Io penso all'immaginario collettivo come a un "serbatoio" di immagini più o meno condivise nel contesto culturale in cui viviamo, che possono agevolmente rappresentare delle idee e dei sentimenti. Forse ci illudiamo sul fatto che queste immagini siano univoche e rappresentino per tutti la stessa cosa, ma sicuramente non è così. Tuttavia, è vero, queste immagini contengono qualcosa di misteriosamente comunicante.
Giordana, il regista, introduce con non-chalance ma anche disseminando nell'aria segnali che qualcosa sta per avvenire, l'incontro tra Nicola e la fotografa. Siamo all'indomani dell'omicidio di Falcone e un prete antimafia in mezzo a un cerchio di persone promuove degli slogan. Tutti iniziano con l'espressione "C'impegniamo...", è un mantra che ricorre continuamente. Il prete potrebbe essere Don Puglisi, che morirà, anch’egli, per mano mafiosa qualche anno dopo.
domenica 15 marzo 2020
L'EDUCAZIONE AL POSSIBILE. RIFLESSIONI SULL'EMERGENZA DEL CORONAVIRUS
domenica 26 gennaio 2020
LEVANTE, JUNIOR CALLY, AMADEUS E QUALCHE ALTRA STORIA
Lui dice che Junior Cally scrive canzoni bellissime, che egli era una vittima di bulli per tutti gli anni di scuola, che gli dicevano che doveva coprirsi la sua brutta faccia, cosa che lui continua a fare in pubblico. Gli ho chiesto perché una vittima di bullismo debba a sua volta scrivere testi così violenti. Lui mi ha risposto: "Questo non lo so, forse però è per dire ai suoi bulli: 'Guardate dove sono e cosa faccio!'". Io, mentalmente, ho tradotto: "Guardate cosa e come sono diventato, nel bene e nel male, grazie e per colpa vostra".
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I New Teolls https://youtube.com/playlist?list=PLJkshHxVDonLLhcpJ5WF5XTnZe688-LHS&feature=shared Questa lista, tra il serio e il facet...
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