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domenica 26 gennaio 2020

LEVANTE, JUNIOR CALLY, AMADEUS E QUALCHE ALTRA STORIA


Come suggerisce Levante, una cantautrice giovane, autorevole, sono andata a leggermi il testo di Junior Cally, Strega, al centro di polemiche su sessismo. E, ancora per "suggerimento" di Levante, sono andata a leggere Stan di Eminem. Non so perché l'ho fatto. Non sono fan del rap, musica che non amo e non capisco, non sono fan di Junior Cally, che non conosco e di cui mi importa poco. Forse l'ho fatto per mio figlio, perché a lui di Junior Cally, sì che importa.

 Lui dice che Junior Cally scrive canzoni bellissime, che egli era una vittima di bulli per tutti gli anni di scuola, che gli dicevano che doveva coprirsi la sua brutta faccia, cosa che lui continua a fare in pubblico. Gli ho chiesto perché una vittima di bullismo debba a sua volta scrivere testi così violenti. Lui mi ha risposto: "Questo non lo so, forse però è per dire ai suoi bulli: 'Guardate dove sono e cosa faccio!'". Io, mentalmente, ho tradotto: "Guardate cosa e come sono diventato, nel bene e nel male, grazie e per colpa vostra". 

È una storia suggestiva, che si ripete nell'arte e nella musica infinite volte. Ma certo mi spiaceva anche per Amadeus, un uomo di spettacolo non eccelso, ma certo mai aggressivo, né, maschilista, a parte quella frase infelice, come ha ricordato anche Levante.
Perché più passa il tempo, più detesto il radical chic in televisione, con i suoi Fazio, Gramellini e compagnia cantante, buoni per ogni stagione politica, purché in voga, più apprezzo il popolare, il popolare vero, o quello che a me sembra tale.
Io non credo che la violenza verso le donne nell'arte popolare non debba essere nominata, per essere sconfitta. Perché che debba essere sconfitta, su questo non c'è alcun dubbio, Né io ho dubbi sul fatto che gli artisti debbano sentirsi impegnati nello sconfiggere la violenza, perché l'arte è vita e la vita è impegno morale; ma non è certo facile stabilire attraverso quali forme.
C'è un enorme livello di conformismo nell'espressione artistica, che fa paura; quando artisti rinomati dicono porcherie ci "leviamo tutti il cappello" e diciamo; beh, è orrendo ma forse l'ha descritto in modo così poetico che voleva dire qualcos'altro. Invece, non voleva dire affatto qualcos'altro.
Quando Sergio Leone rappresenta con tanta gioia e compiacimento la violenta animalità dei suoi personaggi e la diabolica, autolesionista, seduttività delle protagoniste, in C'era una volta in America e C'era una volta il West; o Stanley Kubrik in Arancia meccanica; o Francis Ford Coppola ne Il padrino, o Bertolucci ne L'ultimo tango a Parigi e noi stiamo ad applaudire e ad ammirare, stiamo forse facendo un favore a quella causa che oggi diciamo di sostenere? Non credo proprio e, per quanto mi riguarda - mi perdoni Ennio Morricone, unico grande Maestro - quei film sono stati archiviati e da tempo estromessi dai "preferiti di ogni epoca".
Tornando a cose più modeste, quindi, io darei una chance ad Amadeus, questo ex ragazzo appassionato di musica che per primo presentò i Cranberries in Italia, che voleva - ce lo siamo già dimenticato - far parlare una giornalista di origine palestinese a Sanremo e che, se non altro, ha riportato Irene Grandi in gara al Festival.

Il profilo di Irene Grandi, tratto dl video di Un vento senza nome