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lunedì 31 agosto 2020

IL MOSTRO NON SE NE VA




Parlo del Mostro di Firenze. Sono stata da sempre appassionata alla storia contemporanea italiana. Mi appassionano le storie che in qualche modo ho “vissuto”, quelle in cui storia personale e storia collettiva si  uniscono e si confondono. Innanzitutto ho scoperto che la storia del mostro di Firenze è vivissima e presente nella coscienza di internauti, blogger, persone di diverse generazioni che sono state, a qualche titolo, toccate da quella che è un’enorme straziante tragedia. 

Ho scoperto che ognuno ha il proprio mostro, la propria idea su come siano andate le cose ed è irremovibile e chiuso sulle proprie posizioni. Quasi tutti ma non tutti: Paolo Cochi, regista, giornalista, documentarista e scrittore, che studia il caso da vent’anni mo sembra invece un autore aperto, equilibrato. È di quest’anno la riedizione di un libro

che ripercorre il caso con un’idea determinata ma anche con volontà di offrire più informazioni e nozioni possibili della vicenda.

Credo che i fatti siano piuttosto noti, inutile ripercorrerli, vorrei solo aggiungere alcuni elementi che trovo, talvolta, accennati, ma mai troppo approfonditi, sul caso del mostro di Firenze. Vorrei anche dire che in questo caso le verità giudiziarie sono, per me, come per altri più competenti, errate, non credo, quindi, nel Pacciani mostro, nei "compagni di merende" e tanto meno nei mandanti/esecutori o in piste sataniche e esoteriche. Cosa si potrebbe, allora, aggiungere a quanto già detto e scritto?

1. I delitti del Mostro si collocano in un periodo storico particolare: 1968-1985. È strano che non si sia mai pensato al fatto che, pur essendo un killer di questo tipo un personaggio solitario ed estemporaneo, i suoi delitti si collocano pur sempre in un’epoca e un contesto storico. Nel lasso di tempo in cui ha agito, l'Italia ha attraversato eventi di enorme importanza: i movimenti studenteschi e operai, il dilagare del femminismo da una parte, la strategia della tensione dall’altra, gli anni di piombo, l’assassinio di Moro, la morte di Berlinguer. Cosa ha a che farà tutto ciò con i delitti del mostro? Forse niente, ma forse qualcosa sì. L’epoca storica è stata contrassegnata da una transizione, che ha portato le nuove generazioni a concepire una libertà sessuale sconosciuta a quelle del passato (parliamo di generazione in senso impreciso, perché le prime vittime del mostro erano degli anni ‘30/‘40 e le ultime degli anni ‘60). La criminologa Roberta Bruzzone in un’intervista ha spiegato che gli omicidi come il mostro di Firenze non scelgono esattamente le vittime ma i luoghi e le circostanze. Ciò non toglie che egli abbia seguito alcune delle vittime femminili, prima del delitto. Tuttavia, i suoi delitti avevano un qualche intento punitivo: colpiva i giovani intenti ad amoreggiare in macchina, persone che quindi avevano rapporti extra-coniugali o piuttosto pre-coniugali, che erano amanti clandestini, in un caso, forse una coppia gay, in un altro caso. Doveva essere una persona che provava una profonda rabbia per la libertà sessuale giovanile, ma non solo, per il fatto che questa libertà se la prendessero non ragazzi e ragazze ricchi e ricche, ma giovani lavoratori, che infatti non è che avessero seconde e terze case da utilizzare allo scopo indicato. Le vittime del mostro sono state soprattutto vittime di una libertà sessuale che avevano conquistato ma di cui non potevano usufruire a pieno, perché c'erano altri che se ne potevano prendere di più e meglio. Secondo me c'era anche un po' di odio di classe da parte del mostro, per questi giovani, che erano così "poveri ma belli" e innamorati. Anzi, quello che mi colpisce di più, quando guardo le immagini delle vittime del mostro, è la loro bellezza e pulizia.

2. La pista sarda: come forse è noto, il primo delitto del mostro di Firenze, del 1968, riguardò una coppia di amanti di cui la donna era sarda. Si trattava di un'emigrata in Toscana di modeste origini, che aveva sposato un uomo, suo corregionale, di quasi vent'anni più anziano e che era famosa nel comune per il numero di amanti e per la celerità con la quale li cambiava (non è escluso che, semplicemente, si prostituisse). Nelle ricostruzioni delle indagini dell'epoca, mi sembra che emerga il fatto che gli inquirenti avessero avuto uno sguardo pregiudiziale verso il microcosmo degli emigrati sardi. Si parla di "clan": di un gruppo di persone che avrebbero avuto l'intenzione di eliminare una donna del loro gruppo perché aveva iniziato ad avere rapporti sessuali con gente "altra". Affiorano idee il cui sfondo sottinteso è: sardo uguale criminale. Si parla di delitto d'onore, di delitto passionale. Un po' estraneo alla "cultura" criminale sarda, spietata ed efferata senza dubbio ma molto sbilanciata su un unico grande movente: il denaro. Il marito della vittima era succube della situazione, definito "oligofrenico": non può essere, invece, che fosse semplicemente un "nonviolento" ante litteram, che non era geloso della moglie? Un sardo così? Agli inquirenti non sembrò plausibile. Quando, appena nel 1982, anche il delitto del 1968 fu collegato a quelli successivi, nacque un filone d'indagine che scoperchiò alcune torbide relazioni tra i componenti delle famiglie sarde coinvolte, anche con tanti interessanti spunti, ma mantenendo una prospettiva inattuale del mondo osservato, al quale veniva attribuita una misoginia, una sessuofobia e una repressione che forse non erano maggiori che nel resto dell'universo umano dell'epoca.

Documentario su Villacidro realizzato dallo scrittore Giuseppe Dessì.

Questo non significa, naturalmente, che il mostro non possa essere sardo o proveniente da questo giro (un candidato c'era, in quel contesto, e anche notevolmente attinente). Ma se lo è - questa la mia opinione - i suoi atti si collocano in una dimensione del tutto individuale, completamente avulsa dall'ambiente di provenienza, che difficilmente può averne protetto le azioni.

C'è molto materiale, come dicevo, su questa vicenda, molto del quale raccolto negli anni da Paolo Cochi e da alcuni altri.

Segnalo la suggestiva tesi di Nino Filastò,  per il quale non si spiega il fatto che il mostro abbia ucciso per 17 anni indisturbato, senza mai suscitare la benché minima reazione dei giovani, se non per il fatto di essere un poliziotto, uno dei Servizi Segreti o comunque delle istituzioni. Filastò, a conferma della sua tesi, cita il fatto che sulla scena del crimine si siano trovati, non riposti, libretti di circolazione, documenti d'identità, ecc., che evidentemente ai ragazzi era stato chiesto di esibire. Cita anche il fatto che i finestrini sono spesso infranti, nonostante i proiettili usati potessero forare i vetri senza spaccarli. Il mostro li avrebbe infranti per non far capire che erano stati abbassati dai giovani per rispondere alle domande di quello che credevano essere una persona della Pubblica Sicurezza.




Mario Spezi e Douglas Preston, in Dolci colline di sangue, sostengono una pista sarda rivisitata, che mi sembra poco realistica, anche se indubbiamente suggestiva.

Altre piste, molto articolate, sono difficilmente riassumibili e vanno attentamente evinte dalla lettura degli interessanti blog che segnalo qui sotto:







www.sienanews.it 

Ci sono due film dell'epoca sulla vicenda, ambedue del 1986 (a proposito, come facevano i registi a sapere che il delitto del 1985 sarebbe stato l'ultimo, almeno ufficialmente?): non credo che aggiungano granché alle consapevolezze investigative, ma certamente restituiscono alcuni sentimenti e timori di quegli anni.






Poi c'è una serie televisiva del 2009, diretta da Antonello Grimaldi, che mi sembra ben fatta e ben interpretata


Ultimamente ho sentito, forse, il bisogno di uno sguardo femminile sulla storia del mostro. Non bisogna dimenticare che la caratteristica principale dei delitti in questione è l'odio per le donne, un odio che si è espresso anche in una sfida viscerale con Silvia Della Monica, unico magistrato di sesso femminile che si sia mai occupato del caso.
Ho, quindi iniziato a leggere il libro di Carmen Gueye, Il Mostro di Firenze. John Doe in Toscana, la storia osservata da un passante.

Uno dei ricordi più diretti che ho della vicenda è un'intervista a un gruppo di ragazzi, nel momento in cui la paura dilagò e giovani e genitori cominciarono a porsi il problema di come affrontare il pericolo, anche cambiando abitudini e mentalità. Ascoltavo, allora, quelle parole di ragazzi in fondo non molto più grandi di me. Visti oggi fanno molta tenerezza e, per la verità, un po' anche a quel tempo. Sicuramente, finché le povere vittime non avranno avuto giustizia, il mostro potrà anche essere morto fisicamente, ma non se ne sarà andato.




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