Era uno strano periodo, se dovessi definire la solitudine ne descriverei le trame ed immagini. Avevo 12 anni e vivevo a Oristano. Avevo concluso la seconda media, iniziata a metà anno. Passavo molto tempo a seguire il Cagliari, che era retrocesso in Serie B l'anno precedente.
In poco meno di un'ora di telefonata con mio padre abbiamo ripercorso alcuni miti familiari, aneddoti sempre arricchiti da particolari, che suscitano sempre ilarità e nostalgia, che si riaccendono prontamente senza timore di diventare logori. Ci sono delle cose che ricordo perfettamente della mia prima volta allo stadio. Credo che papà fosse arrivato da Zurigo, dove lavorava, appena il giorno prima. Tuttavia io scalpitavo perché volevo essere presente alla finale di campionato. Perché sì, era un'ultima giornata. Non so perché ne sono così sicura, ma di certo non è un ricordo diretto, è una consapevolezza che si è stratificata nel tempo, come se quella memoria non potesse esistere senza i ferrei dettagli che la costituiscono. E l'altra squadra era l'Arezzo, l'Arezzo e nessun'altra, e il risultato fu di 2-1.
Blog di commenti, riflessioni e ricordi. Uno dei miei maestri mi disse: "Le parole le puoi scialare o spendere, ma non devi mai buttarle".
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