martedì 20 settembre 2005

SARAH MCLACHLAN NEL RIVERBERO DELLO SPLENDORE


Ci sono persone che sostengono che la musica di Sarah McLachlan cambi la vita e francamente non mi sento di contraddirle. Si tratta di un tipo di esperienza dell’arte che apre una nuova dimensione esistenziale di chi ne è stato toccato, che non stravolge ma aiuta a diventare un po’ più quello che si è. Ascoltando la sua musica si incontrano profonde parti di sé, luoghi dell’anima (non esistono luoghi geografici reali nella sua musica) in cui si era stati e si ha bisogno di tornare, anche quel tanto di inquieto, turbante e cupo che è nella vicenda esistenziale di ciascuno.

Ma quest’incontro rappresenta anche la possibilità di aprirsi a un mondo musicale
, anzi a un modo di intendere la musica, in cui si riconoscono generazioni di artiste e artisti, uno stile quieto e autenticamente cantautorale che per fortuna qualcuno segue da vicino anche da noi.
Sarah McLachlan è profondamente canadese, insignita dell’”Order of Canada”, nata a Halifax e residente a Vancouver. Questo particolare è importante quanto lo è quello che gli U2 siano irlandesi, Caetano Veloso brasiliano e il compianto Bob Marley giamaicano. Questi personaggi sono stati capaci di illuminare con la loro energia artistica i luoghi delle loro radici e di dare un senso al nostro desiderio di conoscere altri luoghi del mondo, se non altro per provare a sentirci ancora più legati ai nostri.
Finalmente, a novembre del 2003 è uscito Afterglow, il nuovo album da studio di McLachlan e un anno dopo, a conclusione della prima parte del tour mondiale un Afterglow Live in confezione CD e DVD; fans e critici, abituati alla sua indole confessionale, si erano stupiti di non trovare nell’album che tenui accenni ai due eventi che avevano segnato la vita recente dell’artista: la morte della madre e la nascita della sua bambina, figlia di Sarah e del marito Ashwin Sood, il batterista del suo gruppo, dalle origini indiane.
Era comprensibilissimo, questo ritardo. Sarah digerisce le cose molto lentamente, a differenza di Bruce Springsteen, che scrisse un intero album sulla recentissima fine del suo matrimonio – quel Tunnel of Love che chi scrive non poteva apprezzare del tutto a quindici anni e invece apprezza molto superati i trenta.
Ma torniamo ad Afterglow, l’album del 2003: McLachlan aveva spiegato trattarsi di una parola che indica la transizione dalla luce abbagliante all’oscurità, una sorta di crepuscolo in cui permangono però gli effetti positivi dello splendore e del calore passato e ciò corrisponde al suo stato interiore; la perdita di un grande punto di riferimento esistenziale, l’avviarsi verso l’amore maturo dopo l’incanto dell’innamoramento. Ma “afterglow” è anche la sensazione che si prova dopo gli episodi più belli di amore fisico. I fans post-adolescenti sono rimasti delusi che non sia questa la traiettoria di senso principale e stentano ad adattarsi alle caratteristiche dell’immagine del loro idolo di sempre. Ma a Sarah è sempre piaciuto giocare con i doppi sensi e con le sfumature di significato delle parole. A mio modesto parere la chiave interpretativa del titolo si trova nella canzone più immediatamente autobiografica dell’album: “Drifting”, che guadagna molto in suggestività nella versione live. Parla, usando la seconda persona singolare, di quello che è successo all’artista, del fatto che sia stata sospesa a lungo a crogiolarsi nel “glow”, nello splendore appunto, mentre a terra c’erano persone che la amano e la stavano aspettando. Sarah nelle interviste promozionali non aveva accennato, per pudore o per scaramanzia, al fatto che il suo ultimo album parlasse anche della sua carriera e del suo personaggio. Surfacing, l’album multiplatino, la grande fama, il Lilith Fair tour (il festival musicale di sole artiste donne da lei ideato e portato avanti per tre estati) erano ormai alle spalle, stava iniziando una nuova fase della vita.
Alcuni teorici dell’identità adulta spiegano come l’ultima fase del “tirocinio adulto”, quella dai trenta ai trentacinque anni, grosso modo, corrisponda al momento delle scelte decisive, che possono quasi assumere il carattere dell’irreversibilità. A questo aspetto si collega la mia personale interpretazione dell’ultimo album da studio di Sarah McLachlan. Lei dice che si era ritirata nella sua casa, con Ashwin, “life was good”, “la vita stava andando bene”, la carriera era stata finora fin troppo brillante, non stava lavorando, progettava di avere dei bambini: scelte positive, un futuro radioso davanti a sé. Ma cosa capita agli artisti? Si guardano intorno, riflettono su ciò che è successo ai compagni di viaggio, ai coetanei, alle amiche (quel cerchio ristretto di persone, sempre le stesse dagli inizi della carriera a Vancouver, che vivono vicino a lei e lavorano con lei e che vediamo nella parte documentaria del DVD Afterglow Live) e vi si identificano fino a rendere il loro dolore un proprio dolore: scelte sbagliate, dalle quali non si può tornare indietro, futuri incerti davanti a sé. Questi i temi del primo singolo “Fallen”, di “Stupid”, di “Time” – purtroppo assente nei concerti dell’anno passato e in Afterglow Live – di “Dirty Little Secret”, di “Perfect Girl”. Quest’ultima, in particolare, è una canzone profondamente inerente ai temi di McLachlan, che richiama la sua classica “Good Enough”, quasi descrivendo verbalmente l’immagine che ricorre continuamente nell’ascoltare la sua musica e cioè quella dell’essere presi per mano e sollevati dal dolore: “hai bisogno che tutti ti stiano a fianco, sappi che io sono qui per te ma spero che per tempo tu trovi te stessa benissimo da sola, tu trovi te stessa a braccia aperte tu trovi te stessa tu trovi te stessa in tempo”.
Sarah McLachlan in passato si dedicava a trasporre musicalmente il desiderio urgente, la passione amorosa, spesso non corrisposta, rendendo la sua arte unica e suggestiva. L’attenzione ora si è spostata verso il litigio, l’incomprensione, il senso del fallimento totale o dell’incomunicabilità nel rapporto di coppia. L’incomunicabilità e il dolore descritti nelle canzoni di Sarah McLachlan non si sviluppano però mai nel rimprovero e nel giudizio severo su l’una o l’altra persona; è come se fossero elementi esistenziali nei quali uomo e donna sono entrambi “incolpevolmente” coinvolti.
Ma c’è una parte radiosa di Afterglow, che sembra di poter ascrivere più propriamente all’esperienza personale dell’autrice: “Train Wreck”, “Push” e “Answer”, tre canzoni sull’amore incondizionato. La prima però, appare come oscurata dalla possibilità dell’interruzione di una felice corsa che può avvenire da un momento all’altro ed è disseminata di espressioni che hanno reso unica la comunicativa emozionale della cantante: “pietà delle tue labbra, solo un bacio” o “cado così profondamente in te, mi perdo del tutto nel tuo dolce abbraccio, tutto il mio dolore è cancellato”. La versione live di questo pezzo vede la cantante, forse per la prima volta, imbracciare una chitarra elettrica, nel suono volutamente rock si perde un po’ della sensualità soffusa dell’originale. La seconda, una canzone quasi imbarazzante per la franchezza con cui esprime sentimenti di devozione e con cui abbraccia – nota caratteristica dei suoi testi – il tutto dell’identità femminile, compresa la dimensione del patetico ed esclusa solo quella del civettuolo. Sarah dice che questa è la prima canzone d’amore che ha scritto per una persona determinata e la prima felice. Ancora secondo il mio modesto parere, è una canzone sulla completezza dell’amore, su come l’amore completi e su come uomo e donna si completino a vicenda. Contrariamente alle altre canzoni di McLachlan, che, come lei stessa usava dire, scherzando, recano il loro significato nel “secondo verso della prima strofa”, questa lo concentra nell’ultimo verso dell’ultima. Tutto il testo parla di un rapporto “squilibrato”, in cui c’è una persona che sbaglia, inciampa, si rende intrattabile e un’altra che la salva e ne colma tutte le lacune e mancanze; ma alla fine ci sorprende dicendo: “a volte questo è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per trascinarci attraverso la giornata”. Una specie di pudore, ancora una volta, impedisce a Sarah di dire che cosa il salvatore veramente riceva in cambio per potersi sentire anch’egli completato dall’esperienza che sta vivendo. La cantautrice dell’ovvio? Se volessimo imbarcarci in un paragone infinitamente azzardato diremmo che anche un grande educatore del secolo scorso, fu definito camminatore dell’ovvio.
I toni drammatici e quelli felici delle diverse canzoni tendono, in conclusione, a fondersi in un unico elemento che attraversa tutta l’opera musicale di McLachlan, dagli esordi a oggi, e che riguarda l’impagabilità e l’incommensurabile valore dei rapporti umani, che – anche nelle loro dimensioni più cupe e tragiche – valgono la pena di essere vissuti.
C’è una canzone, nell’album, che esce dal coro e cioè “World on fire”: la prima canzone geograficamente e politicamente ambientata di Sarah McLachlan. La ragione per tale inusualità è che il testo è stato scritto quasi per intero da Pierre Marchand, il produttore storico, nonché partner musicale e caro amico della cantautrice. Nel video che accompagna la canzone, contenuto nel DVD, la regista Sophie Muller e Sarah – che compare suonando la chitarra acustica seduta su una sedia – spiegano come si possono spendere in beneficenza i 150000 dollari di budget usuale per un video musicale. Nel testo aleggia lo spettro dell’11 Settembre e l’incertezza politica e sociale si rispecchia in quella interiore dei personaggi. La canzone nasce appunto dopo il settembre del 2001, Sarah e Pierre stanno ambedue, dal canto loro, per diventare genitori e riflettono sul mondo che i loro figli andranno ad incontrare. Lo sguardo sul “mondo in fiamme” è tenero e addolorato, non dà segni di desiderio bellico di vendetta. Sembra provenire da un Occidente consapevolmente ricco di denaro e di agiatezza, ma per una volta anche di compassione e civiltà (quella che gli spettatori del Live8 di Filadelfia hanno potuto sentire vibrare in versione acustica); da quell’avanguardia illuminata del mondo anglosassone, che altro non è, ai nostri occhi, se non il Canada di Sarah McLachlan.






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