Ci sono persone che sostengono che la musica di Sarah
McLachlan cambi la vita e francamente non mi sento di contraddirle. Si tratta
di un tipo di esperienza dell’arte che apre una nuova dimensione esistenziale
di chi ne è stato toccato, che non stravolge ma aiuta a diventare un po’ più
quello che si è. Ascoltando la sua musica si incontrano profonde parti di sé,
luoghi dell’anima (non esistono luoghi geografici reali nella sua musica) in
cui si era stati e si ha bisogno di tornare, anche quel tanto di inquieto,
turbante e cupo che è nella vicenda esistenziale di ciascuno.
Ma quest’incontro rappresenta anche la possibilità
di aprirsi a un mondo musicale
, anzi a un modo di intendere la musica, in cui si riconoscono generazioni di artiste e artisti, uno stile quieto e autenticamente cantautorale che per fortuna qualcuno segue da vicino anche da noi.
, anzi a un modo di intendere la musica, in cui si riconoscono generazioni di artiste e artisti, uno stile quieto e autenticamente cantautorale che per fortuna qualcuno segue da vicino anche da noi.
Sarah McLachlan è profondamente canadese, insignita dell’”Order
of Canada”, nata a Halifax e residente a Vancouver. Questo particolare è
importante quanto lo è quello che gli U2 siano irlandesi, Caetano Veloso
brasiliano e il compianto Bob Marley giamaicano. Questi personaggi sono stati
capaci di illuminare con la loro energia artistica i luoghi delle loro radici e
di dare un senso al nostro desiderio di conoscere altri luoghi del mondo, se
non altro per provare a sentirci ancora più legati ai nostri.
Finalmente, a novembre del 2003 è uscito Afterglow, il nuovo album da studio di McLachlan
e un anno dopo, a conclusione della prima parte del tour mondiale un Afterglow Live in confezione CD e DVD;
fans e critici, abituati alla sua indole confessionale, si erano stupiti di non
trovare nell’album che tenui accenni ai due eventi che avevano segnato la vita
recente dell’artista: la morte della madre e la nascita della sua bambina,
figlia di Sarah e del marito Ashwin Sood, il batterista del suo gruppo, dalle
origini indiane.
Era comprensibilissimo, questo ritardo. Sarah
digerisce le cose molto lentamente, a differenza di Bruce Springsteen, che
scrisse un intero album sulla recentissima fine del suo matrimonio – quel Tunnel of Love che chi scrive non poteva
apprezzare del tutto a quindici anni e invece apprezza molto superati i trenta.
Ma torniamo ad Afterglow,
l’album del 2003: McLachlan aveva spiegato trattarsi di una parola che indica
la transizione dalla luce abbagliante all’oscurità, una sorta di crepuscolo in
cui permangono però gli effetti positivi dello splendore e del calore passato e
ciò corrisponde al suo stato interiore; la perdita di un grande punto di
riferimento esistenziale, l’avviarsi verso l’amore maturo dopo l’incanto
dell’innamoramento. Ma “afterglow” è anche la sensazione che si prova dopo gli
episodi più belli di amore fisico. I fans post-adolescenti sono rimasti delusi
che non sia questa la traiettoria di senso principale e stentano ad adattarsi alle
caratteristiche dell’immagine del loro idolo di sempre. Ma a Sarah è sempre
piaciuto giocare con i doppi sensi e con le sfumature di significato delle
parole. A mio modesto parere la chiave interpretativa del titolo si trova nella
canzone più immediatamente autobiografica dell’album: “Drifting”, che guadagna
molto in suggestività nella versione live. Parla, usando la seconda persona
singolare, di quello che è successo all’artista, del fatto che sia stata sospesa
a lungo a crogiolarsi nel “glow”, nello splendore appunto, mentre a terra
c’erano persone che la amano e la stavano aspettando. Sarah nelle interviste
promozionali non aveva accennato, per pudore o per scaramanzia, al fatto che il
suo ultimo album parlasse anche della sua carriera e del suo personaggio. Surfacing, l’album multiplatino, la
grande fama, il Lilith Fair tour (il festival musicale di sole artiste donne da
lei ideato e portato avanti per tre estati) erano ormai alle spalle, stava
iniziando una nuova fase della vita.
Alcuni teorici dell’identità adulta spiegano come
l’ultima fase del “tirocinio adulto”, quella dai trenta ai trentacinque anni,
grosso modo, corrisponda al momento delle scelte decisive, che possono quasi assumere il carattere dell’irreversibilità.
A questo aspetto si collega la mia personale interpretazione dell’ultimo album
da studio di Sarah McLachlan. Lei dice che si era ritirata nella sua casa, con
Ashwin, “life was good”, “la vita stava andando bene”, la carriera era stata
finora fin troppo brillante, non stava lavorando, progettava di avere dei
bambini: scelte positive, un futuro radioso davanti a sé. Ma cosa capita agli
artisti? Si guardano intorno, riflettono su ciò che è successo ai compagni di
viaggio, ai coetanei, alle amiche (quel cerchio ristretto di persone, sempre le
stesse dagli inizi della carriera a Vancouver, che vivono vicino a lei e
lavorano con lei e che vediamo nella parte documentaria del DVD Afterglow Live) e vi si identificano
fino a rendere il loro dolore un proprio dolore: scelte sbagliate, dalle quali
non si può tornare indietro, futuri incerti davanti a sé. Questi i temi del
primo singolo “Fallen”, di “Stupid”, di “Time” – purtroppo assente nei concerti
dell’anno passato e in Afterglow Live
– di “Dirty Little Secret”, di “Perfect Girl”. Quest’ultima, in particolare, è
una canzone profondamente inerente ai temi di McLachlan, che richiama la sua
classica “Good Enough”, quasi descrivendo verbalmente l’immagine che ricorre
continuamente nell’ascoltare la sua musica e cioè quella dell’essere presi per
mano e sollevati dal dolore: “hai bisogno che tutti ti stiano a fianco, sappi
che io sono qui per te ma spero che per tempo tu trovi te stessa benissimo da
sola, tu trovi te stessa a braccia aperte tu trovi te stessa tu trovi te stessa
in tempo”.
Sarah McLachlan in passato si dedicava a trasporre musicalmente
il desiderio urgente, la passione amorosa, spesso non corrisposta, rendendo la
sua arte unica e suggestiva. L’attenzione ora si è spostata verso il litigio,
l’incomprensione, il senso del fallimento totale o dell’incomunicabilità nel
rapporto di coppia. L’incomunicabilità e il dolore descritti nelle canzoni di
Sarah McLachlan non si sviluppano però mai nel rimprovero e nel giudizio severo
su l’una o l’altra persona; è come se fossero elementi esistenziali nei quali
uomo e donna sono entrambi “incolpevolmente” coinvolti.
Ma c’è una parte radiosa di Afterglow, che sembra di poter ascrivere più propriamente
all’esperienza personale dell’autrice: “Train Wreck”, “Push” e “Answer”, tre
canzoni sull’amore incondizionato. La prima però, appare come oscurata dalla
possibilità dell’interruzione di una felice corsa che può avvenire da un
momento all’altro ed è disseminata di espressioni che hanno reso unica la
comunicativa emozionale della cantante: “pietà delle tue labbra, solo un bacio”
o “cado così profondamente in te, mi perdo del tutto nel tuo dolce abbraccio,
tutto il mio dolore è cancellato”. La versione live di questo pezzo vede la
cantante, forse per la prima volta, imbracciare una chitarra elettrica, nel
suono volutamente rock si perde un po’ della sensualità soffusa dell’originale.
La seconda, una canzone quasi imbarazzante per la franchezza con cui esprime
sentimenti di devozione e con cui abbraccia – nota caratteristica dei suoi
testi – il tutto dell’identità
femminile, compresa la dimensione del patetico ed esclusa solo quella del
civettuolo. Sarah dice che questa è la prima canzone d’amore che ha scritto per
una persona determinata e la prima felice. Ancora secondo il mio modesto
parere, è una canzone sulla completezza dell’amore, su come l’amore completi e
su come uomo e donna si completino a vicenda. Contrariamente alle altre canzoni
di McLachlan, che, come lei stessa usava dire, scherzando, recano il loro
significato nel “secondo verso della prima strofa”, questa lo concentra
nell’ultimo verso dell’ultima. Tutto il testo parla di un rapporto
“squilibrato”, in cui c’è una persona che sbaglia, inciampa, si rende
intrattabile e un’altra che la salva e ne colma tutte le lacune e mancanze; ma
alla fine ci sorprende dicendo: “a volte questo è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per trascinarci attraverso la giornata”. Una specie
di pudore, ancora una volta, impedisce a Sarah di dire che cosa il salvatore
veramente riceva in cambio per potersi sentire anch’egli completato
dall’esperienza che sta vivendo. La cantautrice dell’ovvio? Se volessimo
imbarcarci in un paragone infinitamente azzardato diremmo che anche un grande
educatore del secolo scorso, fu definito camminatore
dell’ovvio.
I toni drammatici e quelli felici delle diverse
canzoni tendono, in conclusione, a fondersi in un unico elemento che attraversa
tutta l’opera musicale di McLachlan, dagli esordi a oggi, e che riguarda
l’impagabilità e l’incommensurabile valore dei rapporti umani, che – anche
nelle loro dimensioni più cupe e tragiche – valgono
la pena di essere vissuti.
C’è una canzone, nell’album, che esce dal coro e
cioè “World on fire”: la prima canzone geograficamente e politicamente
ambientata di Sarah McLachlan. La ragione per tale inusualità è che il testo è
stato scritto quasi per intero da Pierre Marchand, il produttore storico,
nonché partner musicale e caro amico della cantautrice. Nel video che
accompagna la canzone, contenuto nel DVD, la regista Sophie Muller e Sarah –
che compare suonando la chitarra acustica seduta su una sedia – spiegano come
si possono spendere in beneficenza i 150000 dollari di budget usuale per un
video musicale. Nel testo aleggia lo spettro dell’11 Settembre e l’incertezza
politica e sociale si rispecchia in quella interiore dei personaggi. La canzone
nasce appunto dopo il settembre del 2001, Sarah e Pierre stanno ambedue, dal
canto loro, per diventare genitori e riflettono sul mondo che i loro figli
andranno ad incontrare. Lo sguardo sul “mondo in fiamme” è tenero e addolorato,
non dà segni di desiderio bellico di vendetta. Sembra provenire da un Occidente
consapevolmente ricco di denaro e di agiatezza, ma per una volta anche di compassione
e civiltà (quella che gli spettatori del Live8 di Filadelfia hanno potuto sentire
vibrare in versione acustica); da quell’avanguardia illuminata del mondo
anglosassone, che altro non è, ai nostri occhi, se non il Canada di Sarah
McLachlan.
Nessun commento:
Posta un commento