La prima volta che sentii “Minuetto” ero a Quartu e
giravo con la macchina intorno a via Eligio Porcu per trovare un parcheggio.
Ricordo che dovevo andare ad assistere a un’iniziativa; ero un po’ svogliata,
non sapevo come mi avrebbero accolto e cosa ci facessi. Credo che fosse in
gennaio del ’98: Mimì era scomparsa già da alcuni anni.
Quella canzone non mi piacque, allora, però mi
rimase in testa quasi parola per parola, perché il tema della “schiavitù
amorosa”, per quanto possa essere lontano mille miglia dalla vita concreta, non
è mai lontano dai pensieri di una donna e forse anche di un uomo. Ma credo che
in prima battuta non mi piacque perché non riconobbi in quella voce femminile
un po’ acerba e non ancora inconfondibile il carattere di Mia Martini, della
Mia Martini che abbiamo conosciuto noi.
Un giorno sono venuta a conoscenza della genesi di
quel pezzo. Franco Califano l’ha raccontata di recente in un programma TV. Fu
lui a scrivere le parole sulla musica di Baldan Bembo. Raccontò che Mia Martini
gli gli aveva telefonato, spiegandogli che stava vivendo “una storia d’amore un
po’ particolare” e lui la reinterpretò con le emozioni di un uomo. Ecco, è
questo, avevo pensato, che stride assai nel testo di “Minuetto”: questo
indugiare su una sorta di potere fisico, sessuale dell’uomo, che sebbene sia
parte di un tema, di un problema, non può esaurire la complessità di quella che
è stato l’argomento ossessivo della musica di Mia Martini, vale a dire
l’irriducibile incomunicabilità fra generi.
Eppure c’è qualcosa, in questa canzone, che esercita
uno strano fascino anche su chi è, o si illude di essere emancipato.
Finché Mia, nella prima strofa, canta “…troppe volte
vorrei dirti no, ma poi ti vedo e tanta forza non ce l’ho…” siamo all’interno
del cliché di un rapporto certo patologico ma altrettanto “trito” nella musica
leggera e nel cinema; lo stesso dicasi per il verso che racchiude il contenuto
dell’intera canzone: “il mio cuore si
ribella a te ma il mio corpo no”.
Bene, possiamo dire, “Minuetto” è tutta qui? Nell’eterno conflitto non già fra
mente e cuore, ma fra cuore e corpo, che ci fa pensare alla tormentata ricerca,
piena di cedimenti e delusioni, di “un degno amore” di alfieriana memoria?
Già il verso successivo è più interessante ed
elegante: “…le mani tue strumenti su di me, che dirigi da maestro esperto quale
sei…”; iniziamo a comprendere che il protagonista maschile è tutt’altro che un
bruto, e che non è la brutalità il suo difetto capitale, ma che deve essere un
altro. E tale difetto giunge a chiarirsi nell’inciso, che Mia accenna con
delicatezza, come si fa quando si giunge per la prima volta al cuore di una
difficile confessione: “E vieni a casa mia, quando vuoi, e le notti più che mai, dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti
tuoi…”.
La seconda strofa di “Minuetto” sembra alludere
inizialmente a un sussulto di dignità della donna protagonista: “rinnegare una
passione no, ma non posso dirti sempre sì…”; in realtà la seconda è la strofa
che tematizza in modo ancor più aspro il rapporto di sottomissione della
stessa, in particolare nella ripresa del ritornello: “…e sono sempre tua, quando vuoi…sono mille volte
tua..”. Alla sensibilità delle donne degli anni ’80 queste parole sarebbero
suonate talmente aspre che Mia Martini forse decise consapevolmente di eliminare
la seconda strofa da alcune esecuzioni di “Minuetto” dal vivo.
Ora, è proprio dopo la seconda strofa che il pezzo
di musica leggera, non so per quale strano caso, o per quale strano lampo di
ispirazione di Franco Califano, è come se cambiasse respiro. La musica si fa
più ritmata, l’ossessivo tema del pianoforte cede il passo ad altre sonorità.
“E la vita sta passando su noi…ne
approfitta il tempo e ruba come hai fatto
tu il resto di una gioventù che ormai non ho più…”
No, la donna protagonista non ha superato il suo
problema, ma, benché ammetta “la colpa è solo mia, avrei dovuto perderti invece
ti ho cercato…”, la sottomissione all’uomo è diventata qualcosa di diverso, un
sentimento di malinconia più universale, che, finalmente, coinvolge lo stesso
uomo, in una situazione che quasi evoca la complicità tra i due. Non è infatti
più l’arroganza di lui a rendere perverso il rapporto tra i due protagonisti,
ma qualcosa – simboleggiata, come vedremo, dalla musica che suona per loro – che ambedue non possono
dominare. È, credo, davvero bellissimo il secondo verso di questa parte:
“Minuetto suona per noi, la mia mente
non si ferma mai…io non so l’amore vero
che sorriso ha, pensieri vanno e vengono…”: è come se la finale consapevolezza
della protagonista fosse quella di un’incompiutezza delle emozioni e della
vita, dell’incompletezza di un amore che non raggiunge mai il suo ideale
agognato, le quali non appartengono solo a lei, ma anche al suo compagno.
”..pensieri vanno e vengono, la vita
è così…”: canta proprio questo Mimì, non la sua
vita, ma la vita, tutte le vite sono
così.
La voce di Mia Martini era di quel genere, quello di
Joni Mitchell, Sinéad O’Connor e Sarah McLachlan, che sono capaci di
racchiudere nello stesso istante una vastissima gamma di emozioni e di
comunicare in modo diretto, quasi senza la mediazione del testo e della musica,
con chi ascolta. Nel caso di questa canzone, la sua voce mi ricorda che ci sono
momenti in cui bisogna caricarsi sulle spalle dolore e umiliazione, per sperare
di tornare a correre, o almeno a camminare.
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