mercoledì 5 agosto 2020

LA NOTTE DELLA REPUBBLICA

Nel giorno in cui scompare Sergio Zavoli, un altro grande novantenne, ripenso alla sua opera, televisiva e letteraria (parlo intenzionalmente di letteratura pur riferendomi a un documentario) La notte della Repubblica.
Mia madre mi registrò tutte le puntate del lungo documentario sugli anni del terrorismo, minuziosamente, in una ventina di videocassette, negli anni Novanta. Comprai anche i libri e passai i giorni di vacanza di un Capodanno a guardarle, in compagnia, tra l’altro. Non eravamo secchioni o strani, semplicemente la storia dell’Italia ci stava a cuore o nel cuore. Niente di più che la storia del Paese in cui eravamo nati, negli anni in cui siamo nati.
Adoravo lo stile, i colori e le parole della Notte della Repubblica, in cui tutto era cupo, sobrio ma mai inumano e nemmeno triste. Certamente inquietante, ma non ci voleva Zavoli per rendere gli anni dal 1969 agli anni Ottanta inquietanti, c’era parecchio materiale utile allo scopo, nella cronaca politica e non solo.
Anche l’estate scorsa ho rivisto l’intervista di Zavoli a Franco Bonisoli, quest’uomo che si contorce, nauseato, che si commuove, che implora di fermare la telecamera. Mi ha sempre fatto pensare - chissà - al miracolo del pentimento. E gli occhi di Moretti, impassibili, in qualche modo vitrei, seppur banalmente castani, di un uomo che vive in un mondo a parte.
Ma la scena più bella de La notte della Repubblica non riesco a ritrovarla né nei libri, né nelle puntate di Raiplay. È quando il terrore finisce, comincia Sotto il segno dei pesci di Venditti, bambini girano felici nelle giostre. Nei muri delle città, un tempo testimoni del conflitto, compaiono scritte “Ti amo; T.V.B”, ecc. ecc. Alcuni potrebbero definirlo “riflusso”, a me pare una piccola rinascita. Forse mi sono solo sognata queste immagini, che erano solo nel programma registrato da mia mamma, che voleva regalarmi un momento di distensione. 
Claudia Secci. 

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