venerdì 11 ottobre 2019

MEREDITH: UNA STORIA DI MILLENNIALS



Qualche giorno fa c'è stata la notizia della concessione della semilibertà a Rudy Guede, unico condannato per il delitto Kercher. Quando il fatto avvenne, a novembre del 2007, non lo seguii attentamente. Ricordo che arrivavano le notizie: i fidanzatini, l'americana bionda, il nero, quello "sbagliato" e poi quello "giusto". Veniva catturato in Germania, mentre stava rientrando in treno in Italia...era intorno alla data del mio compleanno. Ma, a dir la verità, non ci facevo molto caso.
Poi vidi, il 21 gennaio del 2016, il programma della Leosini, in cui veniva intervistato Rudy Guede. Se mai un documentario televisivo può essere paragonato per intensità a un film, quello è senz'altro eleggibile, ricco di pathos, di un enorme desiderio di innocenza, con i passaggi più drammatici sottolineati da due musiche da film (usate in "Platoon" e ne "Il cacciatore", che abbiamo molto amato) come "Cavatina" e l'"Adagio per archi" di Samuel Barber che, da sole, provocano smarrimento.
Bisogna sempre ricordare che il delitto Kercher è stata una grande tragedia, la cui vittima, una ragazza di 21 anni, era una di quelle persone che immaginiamo avrebbero dato tanto all'umanità, se avessero potuto. Una tragedia tanto più vera, quanto più sottolineata dal riserbo, l'educazione e la discrezione dei familiari della vittima.
Con tutta probabilità, non hanno ottenuto ancora giustizia, ma non hanno mai parlato della "sporca Italia", del terribile sistema italiano. Per loro dev'essere terribile sapere che uno dei presunti colpevoli dell'omicidio della figlia/sorella sta per uscire dal carcere e che altri presunti ne sono usciti per sempre. Oggi come oggi, tuttavia, l'unica possibilità che avrebbero, per far riaprire le indagini, sta nella riapertura del processo, che Guede aveva chiesto due anni fa e che non è stata accolta.
Rudy Guede aveva raccontato la sua storia - non era certo una storia senza risvolti paradossali, è vero - ma era una storia possibile (si vedano le parole delle criminologhe Ursula Franco e Anna Vegli). Franca Leosini aveva intitolato la puntata a lui dedicata "Nero trovato, colpevole trovato", indicando una matrice razzista che secondo l'imputato è sempre stata presente dall'inizio della vicenda. Anche la Bruzzone, che io definirei una criminologa di regime, ha ammesso che Guede è stato costante nel denunciare tale matrice. Io penso che questa impronta non sia tanto visibile nella condanna di Guede in sé per sé, che, vista la presenza ammessa della persona nel luogo del delitto, all'ora del delitto, viste le tracce di DNA nella camera e sul corpo della vittima, suppongo fosse abbastanza probabile, quanto nel non avere dato una chance al racconto di Rudy. Che cosa non hanno creduto i giudici? Io penso che non abbiano creduto che un ragazzo nero, cresciuto in Italia in condizioni difficili, possa essere stato un ragazzo non cattivo; che una ragazza inglese, molto per bene, possa avere scambiato effusioni con lui, possa averlo fatto entrare in casa sua spontaneamente; che questo ragazzo possa avere degli scrupoli morali tali da indurlo ad accettare gli anni di carcere per essere fuggito dalla donna morente e solo per quello. È, se lo è, una forma sottile, nonviolenta e generazionale, di razzismo. Mi sono, infatti, messa molte volte nei panni di Meredith. Sono quasi le nove di sera, ho 21 anni e torno a casa nel buio; trovo un ragazzo che conosco appena ad aspettarmi, lo faccio entrare? No, non lo faccio entrare perché ho paura. Ma Meredith? È londinese, è nata nel 1985, da figlia di una donna indiana ha una visione interetnica del mondo, conosce le arti marziali. Forse lei lo può fare. Non dico che l'abbia fatto, ma cosi come si è creduto che Amanda potesse essere assolta, dopo avere confessato lei stessa di essere stata alla villetta quella notte, così si sarebbe potuto credere alla versione di Rudy.
Come è noto, nelle prospettive classiche dell'accusa, che hanno accompagnato i processi di Rudy, di Knox e Sollecito in tutti i gradi, si è sempre pensato a un delitto a tre, commesso da tutti gli imputati in complicità. Il sesso ha sempre avuto un sinistro ruolo nell'ipotesi dell'accusa, nella forma di un gioco erotico ai danni della vittima o in quella di una sorta di stupro di gruppo non premeditato. A prescindere dal fatto che il primo medico legale che fece la visita autoptica non poté accertare che Meredith fosse stata violentata, come ha spiegato il criminologo Claudio Mariani; a prescindere dal fatto che la scena del delitto era stata fortemente manomessa, come ha spiegato anche Franca Leosini, forse in questa ricostruzione così torbida, che poi corrisponde alla figura di erotomane che è sempre stata appiccicata su Amanda Knox, c'è un modo adulto di guardare ai giovani senza capirli, talvolta attribuendo a loro manie e follie che sono in chi osserva e non in chi è osservato. Questo non significa che la follia e l'efferatezza non siano state parte di questa vicenda, lo sono state, purtroppo, da protagoniste, ma forse non nel modo in cui avevano sostenuto gli inquirenti.
Più passa il tempo, più l'ipotesi della complicità tra i tre imputati diviene improbabile, soprattutto perché se Guede l'avesse confessata sarebbe già fuori dal carcere.
La tragedia di Meredith è anche un romanzo, appunto il "romanzo di una tragedia", nel quale si intrecciano in modo non scontato i protagonisti: proprio in questo evento, che ha catapultato noi, diverse generazioni che osservavano, in una storia di orrore maturata tra giovani, abbiamo scoperto un mondo che non conoscevamo. In questa vicenda, a noi, come italiani spetta il ruolo inedito di comprimari, alla città di Perugia quello di scenario, lo scenario di una vicenda che, immaginiamo, nasce altrove, lontano da qui. Incontriamo nobili comprimari: una giovane donna che si prende la responsabilità di far spalancare la porta della camera di Meredith; un ragazzo che si prende la responsabilità di richiamare l'amico del cuore dalla latitanza, perché la vita viene prima di tutto. Poi, certo, ci sono soggetti un po' più macchiettistici, italianeschi, di cui non voglio parlare, per rispetto di un dolore che deve comunque essere stato grande.
Ma erano, appunto, dei comprimari. Le protagoniste sono due e la loro vicenda nasce da lontano. È l'interpretazione di Paolo Amaro, che mi convince: siamo intorno ai giorni di Halloween, quella festa che non si festeggiava fino alla mia generazione, perché per noi sono i giorni dei Santi e dei Morti, ma tra le due c'è qualcosa in ballo: una storia tutta anglosassone in cui noi non c'entriamo molto.

Ma Meredith, la vittima, appartiene anche a noi, e in ogni caso la verità e la giustizia non conoscono né nazionalità, né cultura, né generazione.


Articolo della criminologa Anna Vegli

http://www.lecronachelucane.it/2018/01/28/con-la-dott-ssa-ursula-franco-il-caso-amanda-knox/

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