La sera del 12 luglio ascoltiamo Suzanne Vega cantare e suonare all'Ex-Mà. La sua voce è suadente, intonata in modo fluido e senza sforzo. La sua comunicazione è semplice e umile, con più di un tocco di ironia, ma piena di maestria, come tutto il suo show. È questa maestria, forse, ad averla resa un'autrice straordinariamente influente per la generazione successiva di cantautrici, che l'hanno superata in pathos, ma non nella potenza narrativa per la quale può competere persino con Joni Mitchell.
Le chitarre annunciano Luka, siamo già ai bis e una strana malinconia mi avvolge. Il mio sguardo coglie una sagoma affacciata a una finestra che dà sul cortile dell'Ex-Mà e comincio a pensare al passato, al fatto che ho un'età che mi consente di avere ormai un passato in questa città. Ma rimango una straniera, non saprò mai cosa significa essere adolescente in questa città, tornare a casa da scuola, accendere la tv e vedere il video di Luka. E un bel giorno, aprire la finestra, e sentire Luka, cantata dalla sua autrice.
Le chitarre annunciano Luka, siamo già ai bis e una strana malinconia mi avvolge. Il mio sguardo coglie una sagoma affacciata a una finestra che dà sul cortile dell'Ex-Mà e comincio a pensare al passato, al fatto che ho un'età che mi consente di avere ormai un passato in questa città. Ma rimango una straniera, non saprò mai cosa significa essere adolescente in questa città, tornare a casa da scuola, accendere la tv e vedere il video di Luka. E un bel giorno, aprire la finestra, e sentire Luka, cantata dalla sua autrice.
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